I Pisani di Santo Stefano, cui si deve la costruzione della villa, costituivano un importante ramo del casato Pisani, antica famiglia patrizia veneziana. Arricchitisi enormemente nel corso del Trecento grazie ai traffici commerciali e alle rendite immobiliari, nel Quattrocento divennero proprietari di un ampio feudo nella bassa padovana e nello stesso giro d'anni intrapresero anche la costruzione del grande palazzo veneziano di Campo Santo Stefano (l'attuale conservatorio "Benedetto Marcello"), che giunse a termine solo nel Settecento. E fu proprio quest'ultimo il secolo d'oro della famiglia, che arrivò a ricoprire le più alte cariche della Repubblica di Venezia. Alvise Pisani (1664 - 1741) fu ambasciatore alla corte del Re Sole, il quale fu padrino di uno dei suoi figli, e venne poi eletto doge nel 1735. Ma la decadenza era già alle porte: il crollo della Repubblica (1797) prima, il vizio del gioco poi spinsero i Pisani a indebitarsi rovinosamente. Fu per questo che si trovarono costretti a vendere la villa a Napoleone Bonaparte che era diventato re d'Italia nel 1805, l'11 gennaio 1807, per 1.901.000 di lire venete.
La villa venne donata dall'imperatore Bonaparte al figliastro Eugenio di Beauharnais, vicerè d'Italia. Eugenio, raffinato mecenate, commissionò una serie di lavori di ammodernamento che cambiarono l'aspetto di molte sale della residenza e del parco.
Nel 1814 le sorti dell'Europa, decise a Waterloo, portarono a villa Pisani la famiglia imperiale asburgica, ora divenuta signora del regno Lombardo-Veneto. La dimora divenne così luogo di villeggiatura prediletto dall'imperatrice d'Austria Marianna Carolina e ospitò l'intero gotha dell'aristocrazia europea, dal re di Spagna Carlo IV (1815) allo zar di Russia Alessandro I (1822), dal re di Napoli Ferdinando II (1837) al re di Grecia Ottone (1837) e molti altri. La brillante atmosfera di vita di corte ebbe termine nel 1866, quando il Veneto venne annesso al regno d'Italia. La villa non entrò a far parte dei beni della corona di casa Savoia ma divenne invece proprietà di stato, perdendo così la sua funzione di rappresentanza. Non più abitata, divenne museo nel 1884 e fu meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che vi ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934).
Il parco occupa un'intera ansa del naviglio del Brenta, per un'estensione di ben 11 ettari e un perimetro esterno di circa 1.500 metri. Venne realizzato, prima della villa, su progetto dell'architetto padovano Girolamo Frigimelica de' Roberti, autore del famoso labirinto oltre che di alcuni degli originali padiglioni come l'esedra con due gallerie di glicine ai lati, la torretta al centro del labirinto e le scuderie sullo sfondo del grande parterre centrale.
Nel Settecento la spettacolare vista era arricchita da broderies con grandi statue colossali ai lati. L'organizzazione del parco per lunghe prospettive richiama i modelli francesi applicati da Andrè Le Nôtre a Versailles e si incrocia con la tradizione veneta del giardino cintato, aperto mediante portali e finestre che prolungano le viste sul Brenta.
L'elegante Coffee House settecentesca, circondata da un anello d'acqua, sorge sopra una collinetta artificiale, utilizzata per il deposito del ghiaccio durante la stagione calda.
In epoca napoleonica fu aggiunto il boschetto inglese a ovest e gli orti ornamentali furono trasformati in orangerie.
L'Ottocento austriaco si caratterizzerà, invece, per la grande attenzione dedicata alla botanica in vaso e in terra, con le serre tropicali e l'inserimento di grandi esemplari arborei, prima che il revival del '900 introducesse lunghe siepi di bosso e la grande vasca d'acqua del parterre. Al 1839 risale la costruzione di una seconda ghiacciaia, posta ad ovest delle scuderie tra gli alberi del boschetto. Una montagnola artificiale fu realizzata nella parte orientale nel 1853, a seguito del fallito attentato contro l'imperatore Francesco Giuseppe da parte di un indipendentista ungherese, come ricorda l'iscrizione incisa sull'obelisco commemorativo.
Il parco è stato interamente restaurato e oggi insieme al disegno generale esibisce durante l'anno una ricca collezione botanica.
VILLA WIDMANN REZZONICO FOSCARI
II complesso edilizio della villa, assieme alla barchessa e all’oratorio, fu costruito alla fine del ‘700 dagli Sceriman, nobili d’origine persiana dediti al commercio, in località tuttora denominata la Riscossa. Gli Sceriman avevano acquistato il terreno dai Donà verso la fine del ‘600; due vecchie costruzioni che sorgevano nei pressi della villa portavano infatti lo stemma delle famiglie Donà.
Sul "podere" alla Riscossa, nel 1719, era completata sia la costruzione della villa, un semplice edificio cubico, che l’edificazione dell’imponente rustico con l’ampio porticato e chiesetta annessa. La data è riportata sopra il portale d’ingresso alla sala delle feste della villa.
Si ritiene che
l’architetto sia stato A. Tirali, per le notevoli affinità di stile di
queste costruzioni con le opere certe dell’architetto veneziano.
Dall’esame di alcuni pezzi di pietra più antichi inseriti nella muratura
del rusticale, si può arguire che le nuove fabbriche erano sorte sui
ruderi o sulla parziale demolizione di un altro edificio.
La costruzione padronale è a pianta quadrata: al piano terra, dall’atrio classicheggiante, si accede al salone centrale sul quale si aprono quattro stanze.
Subito dopo la metà
del Settecento la villa passò ai Widmann, i quali provvidero al
riammodernamento della casa padronale, secondo il gusto rococò francese,
ed all’ampliamento della barchessa, congiungendola alla chiesetta.
I lavori di ampliamento consistettero nella sopraelevazione della parte
centrale dell’edificio, nel coronamento con timpano curvilineo, nella
apertura di alcune finestre e nella modifica di quelle esistenti secondo
la moda rococò.
Nel salone centrale fu abbattuto il solaio per dare al vano una maggiore elevazione e al secondo piano furono ricavate diverse stanze da letto. Tutti i vani furono finemente decorati con stucchi preziosi e policromi.
Il Salone delle
Feste
Una corta gradinata porta all’atrio aperto sorretto da quattro eleganti
colonne che introducono nella ricchezza del salone da ballo affrescato
attorno al 1765 da Giuseppe Angeli.
Sebbene di dimensioni contenute, il salone delle feste di Villa Widman presenta un una ricchezza decorativa che ha pochi eguali lungo tutto il percorso del Brenta.
Interamente affrescato con scene di carattere mitologico e sfarzose volute rococò, fascie policrome e cornici, la sala si caratterizza per il leggero ballatoio che ne percorre, a metà altezza, le quattro pareti. Agli angoli, quattro aree accoglievano i cantanti nel corso dei ricevimenti. Di particolare rilievo "Il ratto di Elena" di Giuseppe Angeli; il giovane Paride solleva con slancio Elena avviandosi all’imbarco sulla nave pronta per salpare; due marinai reggono la cima, mentre altri tendono le vele.
La composizione è ben articolata entro uno schema geometrico piramidale, il segno pronto e preciso sottolinea la dinamica della scena. Sulla parete di fronte è affrescato “Il sacrificio di Ifigenia” di Angeli, un dipinto impostato sulle diagonali, con le figure quasi fermate nel movimento, in attesa del comando della dea; Ifigenia campeggia al centro per la luminosità delle carni e delle vesti, pronta al sacrificio, mentre dal fondo avanza la cerva, pronta a sostituire la vittima.
Sul soffitto in un cielo luminoso si svolge la il tema della gloria, della vita che sorride dei Widmann e nel piacevole affresco"Diana con amorini" attribuita a G. Angeli, la dea è appena scesa dal carro fermato sulle bianche nubi, attorniato da simpatici amorini. In basso due putti reggono in volo un grande vaso ricolmo di fiori.
VILLA FOSCARI DETTA LA MALCONTENTA
Villa FOSCARI detta LA MALCONTENTA è l'unica villa del Palladio lungo la Riviera del Brenta. Conservata nella sua architettura, si specchia nel Brenta in localita' Malcontenta, vicino a Mira (VE). Tornata di proprietà della famiglia Foscari nel 1973, nel 1994 è stata segnalata come "Patrimonio dell'Umanità" dall'UNESCO. La Villa è tuttora priva d'illuminazione elettrica, per scelta dei proprietari.
La costruzione
di Villa Foscari venne commissionata da Alvise e Nicolo' Foscari ad
Andrea Palladio lungo la riva del fiume Brenta,specchio naturale
della Malcontenta.Sorge a pochi km in linea d'aria dal centro di
Venezia.Terminata nel 1555 guadagno' il soprannome di Malcontenta in
epoca successiva a causa di una nobildonna Elisabetta Dolfin,della
famiglia Foscari, ricca e potente famiglia veneziana,basti ricordare
il Doge Francesco Foscari governatore della Serenissima dal 1423 al
1457,che qui venne relegata per espiare la sua infedeltà.
Esistono anche altre spiegazioni per il soprannome di questa Villa
Palladiana :che derivi dal sovente straripamento del fiume e
conseguente allagamento delle terre dei contadini che usavano
ripetere "Brenta mal contenta" o che sia nato e ricordato per
l'insoddisfazione dai contadini di Padova e Piove,non e' dato
saperlo.
Il maggior deperimento la villa lo subisce nel 1800.Oggi,conservata
e protetta dagli attuali proprietari,Villa Foscari si lascia
ammirare tra i segni del tempo trascorso e la monumentalita'di
nascita.
Villa Foscari si
erga con maestosita', come un blocco unico,con la facciata rivolta
verso il fiume,in perfetto stile veneziano,ma e'arricchita da
richiami classici del IV e V secolo d.c. ben noti al Palladio.
Le scalinate laterali rappresentavano per gli ospiti in visita una
sorta di percorso cerimoniale.La villa è alzata più del solito
(undici piedi invece di cinque, scrisse Palladio) e permette così la
sistemazione delle cucine a altre stanze al pian terreno,lasciando
liberi gli altri due piani per i proprietari.
La facciata posteriore è probabilmente uno degli esiti più alti fra
i progetti palladiani, con un sistema di forature che rende
immaginabile la disposizione interna della villa; Le stanze sono
fatte "in volto", cioè hanno i soffitti arcuati: quella centrale, a
forma di croce, ha il “volto a crocera”, quelle laterali hanno il
“volto a cupola”.
Nel salone,gli affreschi mitologici allegorici sono di Gian Battista
Zelotti (1526-1578): è dipinta la storia di Astrea (la figlia di
Giove lasciata sulla terra) e la fine dei tempi d'oro,sulle pareti
tra le colonne ioniche volute dal Palladio sono raffigurate le
stagioni. Questi affreschi sono purtroppo molto rovinati. Anche le
stanze laterali sono state affrescate: Battista Franco, detto
Semolei (circa 1510-1561), stimato dal Palladio e per il quale aveva
già lavorato, cominciò a dipingere la Caduta dei Giganti ma morì
prima di terminare l'opera.
Il lavoro venne completato dallo Zelotti, che affrescò anche la stanza dedicata a Bacco. Altre stanze sono state dedicate al mito di Aurora e di Prometeo, mentre le due a sud, dedicate alla Fama e al Tempo, sono state le uniche a conservare decentemente gli affreschi.
Una leggenda
vuole che la villa debba il soprannome di Malcontenta a una dama di
casa
Foscari,
relegata tra le sue mura in solitudine a scontare la pena per la sua
condotta licenziosa. Il mistero aleggia sulla storia della dama: si
dice che ella visse in questo luogo i suoi ultimi trent'anni, mentre
non fu mai vista uscire o affacciarsi dalle finestre.
Il parco della villa era incolto e pieno di erbacce e rimane avvolto
nel mistero il fatto di come la donna sia riuscita a sopravvivere.
Nessuno le portò mai degli alimenti e nessuno visse mai con lei
nella villa; su queste strane circostanze circolano ipotesi e
aneddoti.
Ci sono però anche due versioni storiche:
- per la prima: sembra che il luogo fosse così soprannominato già dal 1431, per ricordare lo scontento manifestato dagli abitanti di Padova e Piove di Sacco riguardo alla costruzione del Naviglio del Brenta;
- per la seconda: ben trent'anni prima dell'atto di proprietà dei Foscari la zona si chiamava già Malcontenta, probabilmente da "Brenta mal contenuta", perché il fiume straripava spesso.