Up Restauro del sito archeologico di epoca romana Quadrato Slideshow

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Foto: Beppe Sacchetto © 2020



ARCHEOLOGIA NASCOSTA: CANTIERE APERTO PER RESTAURI

Per la prima volta visibile al pubblico il sito archeologico di epoca romana, all’interno di Quadrato, via delle Orfane 20
Il cantiere di restauro sarà presentato al pubblico il 16 e 17 ottobre 2020



Torino, 14 Ottobre 2020

Apre al pubblico nei giorni del 16 e del 17 ottobre 2020 l’eccezionale area archeologica, riportata in luce nel centro storico di Torino e sita all’interno nel cortile di Quadrato in Via delle Orfane 20, edificio riqualificato dal Gruppo Building.

Il restauro è a cura del Centro Conservazione Restauro “La Venaria Reale” sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino. I complessi interventi conservativi sono condotti con il sostegno della Fondazione CRT (Bando Restauri Cantieri diffusi 2019) e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali-Segretariato regionale per il Piemonte, nell’ambito della programmazione triennale 2018-2020.

Il ritrovamento del sito archeologico, con decorazioni a mosaico raffiguranti in particolare la figura mitologica del cacciatore Atteone, è avvenuto nell’autunno del 2017 durante i lavori di riqualificazione che hanno permesso di restituire alla città una nuova pagina della storia dell’archeologia di epoca romana imperiale.

La particolarità del contesto, esteso su una superficie di circa 125 metri quadrati, e le problematiche conservative presenti hanno fatto dell’area archeologica un caso di studio efficace anche per le finalità didattiche e formative promosse dal Corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Torino, in convenzione con il Centro di Venaria. Per circa un mese, dall’inizio di luglio, al lavoro dei professionisti si è quindi affiancato un cantiere didattico che ha visto il coinvolgimento di cinque studentesse del settore PFP1 (Restauro dei manufatti lapidei e derivati, superfici decorate dell’architettura), seguite dal docente responsabile incaricato, con la supervisione del Direttore dei Laboratori del Centro.

La conclusione dei lavori del sito archeologico è prevista per la primavera 2021. L’apertura al cantiere sarà accompagnata da visite guidate a cura di Arcana Domus, il cui personale specializzato racconterà le fasi salienti dello scavo archeologico e del recupero architettonico alla scoperta di una parte inedita della città.

“Il cantiere di conservazione di via delle Orfane ha rappresentato una importante occasione di collaborazione interdisciplinare tra professionisti di diversi enti e realtà del territorio e di crescita delle competenze di studenti del Corso di Laurea in conservazione e restauro dei Beni culturali dell’Università” – dichiara Michela Cardinali, Direttore dei Laboratori di Restauro del CCR - Lo sviluppo di continue occasioni in cui promuovere contestualmente lo scambio professionale e la crescita delle competenze è uno dei punti di forza e dei principali obiettivi su cui si basa la linea di sviluppo del CCR”. “La grande importanza di questo cantiere di restauro - dichiara Stefano Trucco, Presidente del CCR - consiste nel restituire un’area archeologica alla Città, come luogo in rete con gli altri siti recentemente resi visitabili al pubblico in siti urbani e di richiamo di Torino, quale, ad esempio, lo scavo archeologico visitabile all’interno della Nuvola Lavazza e il sito rinvenuto nell'area adiacente al Duomo di Torino.”

“Il dovere di chi come noi restaura il patrimonio urbanistico è anche quello di conservare le tracce del passato e di aprirle alla città e al pubblico per trasmetterne la conoscenza. Lavorando nella Torino romana abbiamo avuto la fortuna di scoprire un grande tesoro di archeologia che, grazie al Centro Conservazione e Restauro e alla Soprintendenza, possiamo aprire al pubblico in quest’occasione” - dichiara Piero Boffa, Presidente del Gruppo Building.

L’intervento di restauro:

Le murature, conservate per una quota massima di circa 1 metro e con tracce di intonaco originale rosso e ocra, sono state oggetto di operazioni di consolidamento, pulitura, stuccatura e parziale ricostruzione ed integrazione.

Le pavimentazioni romane in opus signinum, cornici a mosaico e un emblema decorato sono state sottoposte a delicati interventi, che hanno previsto una prima fase di pulitura superficiale, atta ad asportare il materiale biologico che le ricopriva ed il consistente deposito di terriccio concrezionato presente. Contestualmente le tessere e le scaglie lapidee distaccate o semimobili, sono state fissate nella loro sede originaria. Le diffuse incrostazioni ocra e rosse che interessavano in particolare l’emblema con al centro la figura di Atteone, composto da tessere bianche, nere e ocra, sono state in parte rimosse o alleggerite e in parte mantenute per ragioni conservative.

Nel corso dell’intervento di pulitura delle pavimentazioni sono stati rinvenuti nuovi reperti, presumibilmente di epoca longobarda, appartenenti ad una probabile sepoltura: ossa umane, in corso di studio, e un pettine in materiale organico.

Il sito archeologico

Il rinvenimento del sito di età romana di via delle Orfane 18 è avvenuto nel 2017, nel corso dell’assistenza archeologica ai lavori per la realizzazione dell’autorimessa interrata connessa alla ristrutturazione dell’immobile, condotta dalla ditta archeologica Studio di Marco Subbrizio.

L’assistenza era stata richiesta dalla Soprintendenza perché il cortile, ubicato all’interno di un insula compresa fra le attuali via delle Orfane, via Santa Chiara, via Sant’Agostino e via San Domenico, in prossimità del lato occidentale delle mura romane, ancora visibili su via della Consolata, era da considerarsi a forte rischio archeologico, sia per la sua ampiezza sia per l’ampia porzione di esso mai precedentemente interessata da interventi di scavo.

Nelle immediate vicinanze, subito al di là della via Sant’Agostino, era stata inoltre portata alla luce, nel 1993, l’abitazione più grande e meglio conservata precedentemente nota a Torino, composta da almeno undici vani, compresa una sala per banchetti (triclinium) riccamente decorata da un tappeto musivo con cornice di rombi su fascia nera e emblema policromo raffigurante un amorino alato che cavalca un delfino (inizio II secolo d.C.). La zona era pertanto nota come una di quelle destinate, in età romana, a edilizia residenziale di pregio. Le operazioni di assistenza agli scavi si sono trasformate in un vero e proprio scavo archeologico stratigrafico in seguito all’affioramento delle prime strutture significative.

I resti più antichi messi in luce nel corso dei lavori sono costituiti da un vasto impianto di epoca romana imperiale (I-II), con ambienti particolarmente conservati nel settore sudorientale dell’area.

Quattro grandi vani rettangolari affiancati, profondi oltre 10 m e orientati est-ovest, sono delimitati da muri con fondazioni in ciottoli e probabile elevato in argilla cruda, secondo una tecnica costruttiva apparentemente inadatta all’ambiente, ma in realtà ampiamente testimoniata in Piemonte in età romana, il cui interno era decorato da intonaci colorati, con fasce e campiture in nero, rosso e verde.

Gli ambienti dovevano affacciarsi a est su un cortile porticato, testimoniato dai resti di una colonna in laterizi rivestita da stucco scanalato, dov’era collocata anche una vasca in muratura rivestita da intonaco di cocciopesto rosa; le pareti su questo lato erano quasi completamente aperte, con ampie soglie di pietra nelle quali sono visibili impronte quadrate che alloggiavano i cardini di possibili cancelli di chiusura in legno.

Gli ambienti sono dotati di pavimenti in scaglie di pietra e malta, con cornice perimetrale a mosaico di tessere nere, piuttosto frequenti nelle domus di Augusta Taurinorum.

Uno dei vani, parzialmente asportato dalle cantine moderne e conservato solo nella parte orientale, presenta inoltre di fronte all’ingresso una decorazione a esagoni inscritti in un cerchio, realizzata con tessere nere rettangolari, disposte “a canestro”, una tecnica finora mai riscontrata a Torino, mentre il vano meridionale conserva quasi integralmente un emblema quadrato realizzato con tessere di mosaico bianche e nere, nel quale è rappresentata la figura mitologica del cacciatore Atteone aggredito dai suoi cani mentre si sta trasformando in cervo.

Secondo il mito, nel corso di una battuta di caccia, Atteone provocò l'ira di Artemide sorprendendola mentre si bagnava nuda insieme alle sue compagne. La dea, per impedire al cacciatore di proferir parola su quello che aveva visto, lo trasformò il giovane in cervo spruzzandogli dell'acqua sul viso. Atteone si accorse della sua trasformazione solo quando scappando giunse a una fonte, dove poté specchiarsi nell'acqua. Intanto il cacciatore venne raggiunto dalla muta dei suoi 50 cani che, non riconoscendolo, lo sbranarono.

Il mito, molto rappresentato ad esempio nella pittura pompeiana, ha pochi confronti nei mosaici figurati e rimanda comunque a una committenza colta e raffinata.

L’interpretazione funzionale dei vani individuati dagli scavi è ancora in corso di precisazione. Le dimensioni e la completa apertura sul lato orientale sembrano escludere che si tratti degli ambienti di una domus d’abitazione e portano piuttosto a ipotizzarne la pertinenza a un edificio pubblico o destinato ad attività sociali private, come la sede di un collegio professionale (schola), riccamente ornato dai soci e benefattori.

È a questo proposito suggestivo pensare che proprio al patronus di una di queste corporazioni potesse essere dedicata l’erma, purtroppo acefala e priva di iscrizione, rinvenuta durante lo scavo.

Meno “monumentali” ma comunque interessanti sono i rinvenimenti ascrivibili alle fasi che vanno dall’età tardo-antica fino alla piena età moderna. Dopo una sistematica attività di demolizione del complesso di età romana, con recupero dei materiali da costruzione, la prima testimonianza di rioccupazione dell’area è ascrivibile all’uso di questo spazio come area cimiteriale: sono state infatti rinvenute dodici sepolture a inumazione, prevalentemente infantili, prive di corredo funebre eccetto un pendente in pasta vitrea e bronzo. Lo studio antropologico delle sepolture e le datazioni al radiocarbonio, ancora in corso, aiuteranno a precisare la cronologia di tali sepolture, ma un elemento di grande interesse è emerso recentemente durante le operazioni di restauro: la rimozione di una concrezione di malta e residui carboniosi sul pavimento della “sala di Atteone” ha infatti evidenziato la traccia residua di un’ulteriore tomba, testimoniata solo da alcuni frammenti di ossa umane, ma corredata da un pettine in osso con incisioni a reticolo di possibile produzione longobarda.

Per l’età pienamente altomedievale le testimonianze sono ancora più tenui: le uniche attestazioni materiali in merito a nuove fasi abitative sono da attribuire a un probabile fondo di capanna con relative palificazioni lignee, rinvenuto nella fascia sud-orientale del cantiere.

Nei secoli successivi un rinvenimento ancora significativo è rappresentato a una fossa di fusione per campana, databile intorno al X secolo e relativa al campanile dell’antica chiesa di S. Giacomo (oggi S. Agostino).

In seguito ai rinvenimenti occorsi, riconosciuto l’importante valore del complesso di ambienti del settore sud-est dell’area scavata, eccezionali nel panorama archeologico di Augusta Taurinorum sia per stato di conservazione che per livello architettonico dell’insieme, la Soprintendenza ha richiesto all’impresa costruttrice, Building S.p.A. di elaborare una variante progettuale per la conservazione e la valorizzazione dei tre vani meglio conservati, comprendente la predisposizione della copertura, già realizzata, che ne permette la visione dal piano della corte interna.

A cura della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino.

 

 

    Foto Beppe Sacchetto

 

 

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