Up Torino 22 Maggio 2011 - Raduno Nazionale Arma di Cavalleria Slideshow

 

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                                                                                         Origini della Cavalleria

La Cavalleria Italiana compie in questo scorcio di inizio secolo e millennio quasi trecentoventi anni di vita, al servizio della collettività nazionale concorrendo a formare prima e a difendere poi l'unità e l'indipendenza della Patria e correlando, quindi, strettamente le sue vicende con la creazione dello Stato Italiano.

Il primo nucleo della moderna cavalleria italiana sorge nell'antico ducato sabaudo alla fine del Seicento, all'epoca lo stato preunitario politicamente più attivo. Se si fotografa la situazione della nostra penisola si vede subito che è suddivisa in numerosi staterelli in gran parte sotto dominio straniero. Francia del re Sole e impero asburgico si scontrano soprattutto in Italia per il predominio in Europa, perché il Bel paese accomuna alle bellezze della natura e del clima una posizione geostrategica centrale che costituisce ponte tra nord e sud, tra est ed ovest. Diviene perciò preda ambita da molti, posta com'è,
al centro del Mediterraneo, fulcro delle principali civiltà. Ma dalla caduta dell'impero romano tanti stranieri sono passati per il cosiddetto "giardino di Europa", i cui abitanti sembrano aver perso il coraggio di battersi per le proprie idealità e per i propri interessi. Non avendo la forza e la volontà di portare le proprie armi sono costretti a subire quelle altrui. Discorso incomprensibile per tanti pacifisti di ogni epoca. In questo sfacelo solamente il ducato sabaudo tenta di opporsi (vaso di coccio tra vasi di ferro) allo straniero attraverso una duplice azione: italianizzare la cultura favorendo l'uso della lingua italiana in contrapposizione alla diffusa usanza del francese e potenziare l'esercito attraverso la costituzione dei reggimenti. Si formano per primi i reggimenti di dragoni, tra il 1683 e il 1690, per capitolazione, attraverso cioè una convenzione che il duca Vittorio Amedeo II stipula con personalità militari di rango ed esperienza, nominate colonnelli, che vengono incaricati di "levare" e comandare un reggimento. In tal modo il colonnello si assume la responsabilità del reclutamento, addestramento ed amministrazione delle varie compagnie, tratte da quelle già esistenti di archibugieri a cavallo, ne nomina gli ufficiali e acquista i quadrupedi.
L'amministrazione ducale si occupa del soldo mensile alla truppa, della fornitura delle armi e del periodico controllo dell'entità numerica del reggimento. Nel 1692 si costituiscono, con un diverso sistema di reclutamento, i primi reggimenti di cavalleria vera e propria. Gli ufficiali provengono dalle disciolte compagnie di genti d'arme o sono nominati ex novo. La truppa viene reclutata secondo modalità chegià rivelano una notevole modernità: i comuni debbono fornire, secondo una quantità prestabilita, uomini celibi, d'età compresa tra i 20 e i 45 anni, con determinate caratteristiche fisiche, appartenenti a famiglie numerose, di cui non devono essere capifamiglia. Il servizio ha obbligatoriamente la durata di due anni.
In questo periodo la cavalleria non ha una uniforme vera e propria, tranne le armature. Non è rimasta una documentazione attendibile della sua tradizione uniformologica, caratterizzata, peraltro, da un copricapo a forma di bicorno, nonché da una sciarpa azzurra, ancora oggi indossata dagli ufficiali italiani.


I primi nuclei di associati sorgono nell'Italia Settentrionale, in particolare a Torino e a Milano, nei primi anni del secolo. Nel 1921, anno cui si può far risalire l'unificazione ufficiale dell'Associazione, detti nuclei si infoltiscono con i reduci del primo conflitto mondiale e sorgono gruppi e sezioni un po' ovunque in Italia, anche per ricordare i diciotto reggimenti disciolti dalla dolorosa falcidia del 1918-20. Scopo dell'Associazione era, quindi, quello di raccogliere, all'ombra dello Stendardo Sociale, nel ricordo dei Colleghi Caduti, tutti coloro che avevano servito nei gloriosi reggimenti dell'Arma, facendo appello ai sacrifici compiuti insieme durante la guerra e riallacciandosi alle nobili tradizioni della Cavalleria Italiana, affinché tale eredità spirituale non andasse dispersa. Il 20 maggio 1922, in una memorabile cerimonia svoltasi a Milano, l'Associazione riceve la sua solenne consacrazione col dono, offerto dai dodici reggimenti superstiti dell'Arma e dalla Scuola di Cavalleria, dello Stendardo Sociale, uguale a quello dei reggimenti combattenti, simbolo di legittima, diretta discendenza e rappresentanza. Successivamente, attorno allo Stendardo dell'Associazione, ormai nazionale, si raccolgono i cavalieri di tutta Italia e nel 1924 la Presidenza Generale dell'Associazione viene trasferita in Roma. Nel 1925 vengono assegnati con RR.LL.PP. stemma e motto araldico: il primo incentrato sulla figura di S. Giorgio, che diviene patrono dei cavalieri italiani con bolla papale del 1937; il secondo è lapidariamente coniato dal bianco lanciere Gabriele D'Annunzio in "ut velocius, ut vehementius". Nel 1934, auspice l'Associazione, viene ripresa la pubblicazione dell'antica Rivista di Cavalleria (nata nel 1886), divenuta organo ufficiale del sodalizio, anche se già edita dal 1922 come notiziario. Nel 1938 un nuovo statuto cambia la denominazione dell'A.N.A.C. in "Reggimento Cavalieri d'Italia" articolato in gruppi squadroni provinciali e squadroni cittadini. Dopo la seconda guerra mondiale risorge come Associazione Nazionale Arma diCavalleria, la cui Presidenza Nazionale ha sede in Roma. Lo statuto sociale riporta gli scopi che l'A.N.A.C. si prefigge: l'amore e la fedeltà alla Patria; il culto delle glorie dell'Arma e dei Cavalieri Caduti nell'adempimento del dovere; il ricordo dei Cavalieri scomparsi; l'esaltazione dello spirito e delle tradizioni del cavaliere, espressione questa di un modo di vita e di un atteggiamento spirituale che hanno per unicameta l'Italia; l'assistenza morale, e nei limiti del possibile, materiale dei soci e dei loro familiari; l'aggiornamento dei soci per quanto interessa l'attività dell'Arma; il collegamento con le Forze Armate, mediante continuo, fraterno contatto, con unità ed enti dell'Arma.

                                                         IL CONTRIBUTO DELLA CAVALLERIA ALL'UNITA' D'ITALIA

                                                    

L'Ottocento rappresenta il secolo d'oro della cavalleria e delle sue tradizioni di romantica signorilità. Pur nell'avanzare progressivo del macchinismo. continua ancora a prevalere quello stile di vita di cui il cavaliere è il rappresentante più seducente. Gli stessi aspettiesteriori dell'uniforme, che nella "belle époque" raggiungono il massimo splendore, confermano un'apparenza che si traduce in sostanza al momento di salire in sella e caricare il nemico. In questo clima inizia il risorgimento, durante il quale con il parallelo diffondersi degli ideali liberali e costituzionali, si concretizzano le ulteriori fasi della lotta per la libertà dalla dominazione straniera e la conquista dell'unità nazionale. Per effetto della restaurazione del 1814, ossia della restituzione, dopo la caduta di Napoleone, del Piemonte al re di Sardegna, si ricostituiscono gli antichi reggimenti sabaudi: due di dragoni, due di cavalleria, due di cavalleggeri. Sette reggimenti, ognuno dei quali assume il nome di una regione o provincia del regno, si ritrovano con la riforma del 1832, dopo che, in seguito alla partecipazione di alcuni di essi ai moti liberali del 1821, si sono avuti alcuni scioglimenti e riordinamenti. In questo periodo le uniformi e gli armamenti subiscono evoluzioni attraverso cui esprimono, nella forma e nella sostanza le accentuate funzioni spirituali ed operative della
cavalleria. Il copricapo, che è l'elemento più appariscente dell'uniforme, subisce varie trasformazioni: sì passa da un iniziale caschetto di cuoio per dragoni e cavalieri allo shako (1819) per i soli cavalleggeri. In seguito tutti i reggimenti adottano un elmo di metallo, ricoperto con una fascia di pelle d'orso, poi di foca, ispirato alle linee armoniche dell'elmo ellenico. Nel 1843 la croce di Savoia in ferro lucido sostituisce il fregio dorato con l'aquila di Savoia, così come la coccarda azzurra viene, nell'entrare in guerra (1848), sostituita da quella tricolore. Sotto Carlo Alberto la variazione più importante riguarda la giubba che da abito con falde posteriori raccorciate passa alla foggia di tunica con doppia abbottonatura, restando in uso fino al 1871.
Per quanto riguarda l'armamento nel 1814 è eterogeneo, di importazione straniera, ma viene sostituito, subito dopo, da quello fabbricato in Piemonte. Nel 1836 uno squadrone per ogni reggimento viene dotato di lancia. Progressivamente quest'arma, estremamente efficacenelle cariche e non più adoperata dal medioevo, torna ad essere assegnata a tutti gli squadroni, unitamente alla sciabola e al pistolone (una specie di moschetto a canna corta) da appendere alla rangona (bandoliera) in sostituzione delle due pistole da sellasettecentesche. La banderuola a due punte della lancia, che è originariamente rossa con croce bianca sabauda al centro, diviene tutta azzurra ed ancor oggi in cerimonie e ricorrenze, la cavalleria usa la lancia con la banderuola dello stesso colore L'impiego operativo dell'arma nelle prime campagne risorgimentali è assai frequente. sovente in prima linea anche in appoggio ed a difesa di altri corpi. Le azioni di particolare rilievo e di valore militare vengono attestate, anche attraverso le ricompense collettive che l'Arma si è meritata. Le esperienze di tali campagne dimostrano come terreni particolarmente sfavorevoli, per la loro compartimentazione dovuta a culture, canali, boschine, ecc., come quelli del Lombardo - Veneto, siano poco idonei a massicci complessi di cavalleria e quanto sia importante l'attività delle unità leggere, soprattutto in funzione esplorativa. In seguito a queste considerazioni, i nove reggimenti esistenti nel 1850 si ripartiscono in cavalleria di linea, costituita dai primi quattro reggimenti, i più antichi, che mantengono invariati l'armamento e l'uniforme e in cavalleria leggera o cavalleggeri, che meglio si adattano alle diverse necessità ambientali od operative, rappresentata dagli altri cinque. I cavalleggeri sostituiscono la lancia con il moschetto e l' elmo con il kepì, adottando come distintivo anziché l'intero colletto colorato, le fiamme a tre punte, tipiche da allora della cavalleria. Da questo periodo la lancia diviene il principale, anche se non assolutamente vincolante, elemento distintivo dei reparti più idonei all'intervento a massa nel combattimento. Nel 1855-1856 il comando e lo Stendardo di "Alessandria" sono alla testa di un reggimento di cavalleggeri provvisorio, inviato dal sapiente intuito di Cavour in Crimea, e formato con squadroni forniti da tutti e cinque i reggimenti cavalleggeri. Il loro impiego è limitato dal tipo di guerra ossidionale e dalla falcidia che la nota epidemia di colera determina nel corpo di spedizione. Con la seconda guerra d'indipendenza si riprende il cammino, seguendo il corso del Po, verso oriente. A Montebello il 20 maggio 1859 si distinguono "Novara", "Aosta" e "Monferrato", che riescono, con ripetute cariche a rallentare l'avanzata di una grossa formazione austriaca che procede verso Voghera, favorendo l'azione di una divisione alleata francese che l'arresta definitivamente. In seguito a questo fatto particolarmente degno di essere ricordato, viene formata una nuova unità, "Montebello" l'unico reggimento ad essere chiamato con il nome di un combattimento. Importante è l'azione che "Alessandria" svolge sulla Sesia, a Palestro ed a Borgo Vercelli, così come quella di "Monferrato" a San Martino. Le "Guide" di Garibaldi si segnalano nel corso delle operazioni che da Varese portano alla Valtellina. Man mano che, con le successive annessioni, il regno di Sardegna si fa più consistente, si formano reggimenti nuovi, con l'incorporazione di alcune unità militari degli stati annessi, (Lombardia e Lega dell'Italia Centrale), o attraverso volontari, o ancora, per coscrizione, assumendo i nomi di grandi città, in prevalenza capoluoghi di provincia. che passano sotto la giurisdizione del regno, divenuto ormai d'Italia, anche a seguito delle annessioni meridionali.

 

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