CORTEO STORICO - PALIO DI ASTI 2016
L’imponente sfilata che precede la corsa è un grandioso affresco che rievoca la storia medievale della Città: ogni gruppo è preceduto dal Vessillifero che porta i colori del Borgo, Rione o Comune, seguono i figuranti in costume che danno vita ad un tema storico variato ogni anno. Sin dall’inverno precedente gli storici e le sarte di ciascun comitato si mettono al lavoro per individuare il tema storico dell’anno. I costumi, fedeli riproduzioni d’epoca, sono realizzati dalle sartorie di borgo e si rifanno a dipinti e affreschi di età medievale. Un lavoro minuzioso e certosino per trovare tessuti, fogge e accessori, acconciature e attrezzature storicamente corrette. Basti pensare che per realizzare il costume di una dama vengono impiegati sino a dodici metri di velluto.
Al miglior gruppo il Soroptimist International d’italia, club di Asti, consegnerà la “Pergamena d’autore” , ambito premio per quel Comitato che avrà meglio rappresentato il tema storico del corteo.
Il premio, nato nel 1983, viene assegnato da parte di una qualificata giuria di esperti scenografi, costumisti, docenti di storia medievale, registi e attori, selezionati dall’Assemblea del Club.
COMUNE DI BALDICHIERI - Donne del medioevo
Il Comune di Baldichieri d’Asti quest’anno propone come tema del proprio corteo la condizione delle donne nel Medioevo.
Generalmente sottomesse all’uomo, la loro condizione poteva risultare molto diversa a seconda della posizione sociale.
Nelle famiglie aristocratiche si tendeva a destinare le figlie alla vita monastica per evitare lo sperpero del patrimonio familiare e doti esose da corrispondere al futuro marito.
Nei ceti inferiori le donne erano destinate a svolgere una vita di duro lavoro, con ben poche distrazioni, se si eccettua la frequentazione della Chiesa.
Ma secondo la morale medioevale, anche recarsi in chiesa poteva essere pericoloso per la donna, esponendola a rischi che potevano comprometterne castità, unico valore riconosciuto alla donna.
Anche la prostituzione era segnata dalle differenze sociali: le cortigiane erano dame di corte e dispensavano la loro compagnia ai nobili, mentre le prostitute di basso rango erano confinate al di fuori delle mura della città.
Va infine ricordato che le donne nobili indossavano abiti fastosi e ricorrevano a ornamenti sfarzosi, segni evidenti di distinzione che ne mettevano in rilievo la condizione di superiorità sociale ma nello stesso tempo le esponevano all’accusa di peccare di vanità.
COMUNE DI MONTECHIARO
- Il trovatore Rambaldo da Vaqueiras narra il salvataggio di Giacomina da Ventimiglia
Il Comune di Montechiaro rievoca la figura del grande trovatore provenzale Rambaldo da Vaqueiras, cavaliere e compagno fedelissimo di Bonifacio I, Marchese di Monferrato.
Nell’Epistola Epica, in cui Rambaldo da Vaqueiras narra tutte le gesta compiute con il Marchese, ricorda l’impresa cavalleresca portata a termine per liberare la Gran Dama Giacomina da Ventimiglia.
Mortole il padre Guido Guerra e, intorno al 1185, anche il fratello Corrado, Giacomina restò unica erede dei beni di famiglia.
Lo zio, il conte Ottone, fratello di Guido, intendeva darla in sposa ad un nobile di Sardegna per appropriarsi di tale patrimonio, ma la Gran Dama, non consenziente, si rivolse per aiuto a Bonifacio I, suo parente.
Giacomina, imprigionata e sorvegliata da una scorta armata, stava per essere imbarcata sulla nave che l’avrebbe condotta al potentato di Sardegna, ma con un rocambolesco salvataggio Bonifacio e i suoi fidi cavalieri, tra cui Rambaldo, riuscirono a trarla in salvo.
Secondo la leggenda tramandata di corte in corte dai menestrelli dopo un’avventurosa fuga verso il Monferrato, tra inseguimenti e insidie, il Marchese offrì a Giacomina un rifugio lontano dalla sua corte, per proteggerla da eventuali nuovi intrighi orditi dal perfido zio Ottone: la scelta cadde sul castello di Mairano, ove la dama soggiornò per qualche tempo.
Gli homines di Mairano, unitamente agli abitanti di Pisenzana, Maresco e Cortanze si sarebbero in seguito uniti per costituire la villa nova di Montechiaro, diventando cittadini astesi.
COMUNE DI MONCALVO
- Omne vivum ex ovo, uova di struzzo e albero della vita
L’uovo è stato, già nelle più antiche comunità umane, uno dei primi emblemi religiosi, considerato come un sacro involucro in cui riposa il germe della vita. Nel medioevo cristiano particolarmente significativo era l’uovo di struzzo, simbolo della rigenerazione dal peccato. Queste uova, che si schiudono grazie al calore del sole e della terra, senza bisogno di essere covate, erano metafora viva dell'uomo penitente che veniva riscaldato dallo sguardo di Dio e salvato dai suoi peccati. Secondo i bestiari medievali, l’uovo di struzzo simboleggiava la nascita da una vergine e per questo, nella pittura italiana del quattrocento, era accostato alla figura della Madonna, natura generatrice per eccellenza.
Durante la Settimana Santa era abitudine appendere delle uova di struzzo nelle cattedrali come emblema del Salvatore. Un catalogo dei beni del Duomo di Casale Monferrato, redatto nel XV secolo, annoverava un uovo di struzzo che era esposto in sospensione sull’altar maggiore durante le più importanti solennità religiose.
Erano proprio i fedeli, probabilmente i più benestanti, ad offrire alle chiese queste particolari uova, che diventavano oggetto di culto e di venerazione. Ma, in generale, era l’uovo di qualsiasi natura, grande o piccolo che fosse, a trasformarsi in simbolo di buon auspicio e a entrare nella tradizione pasquale dando origine a varie usanze.
La domenica di Pasqua si scambiavano vicendevolmente uova d’uccello, benedette in chiesa, e i nobili, dal canto loro, erano soliti commissionare uova dipinte e decorate con materiali preziosi per donarle a parenti, amici o semplici conoscenti. Di esse si trovava menzione nei "libri inventariorum" delle più importanti Signorie dell’epoca e, tra queste, i Paleologi, marchesi di Monferrato. L’adozione dell’uovo come simbolo cristiano di rinascita ha dato origine anche ad un altro rito pasquale.
Rifacendosi al passo della genesi in cui è scritto: “Il Signore Iddio fece germogliare l’albero della vita in mezzo al giardino”, si iniziavano a decorare rami d’albero secchi con uova, nastri e fiori colorati. Di origine pagana e legata al passaggio dall’inverno alla primavera e al risveglio della natura, questa usanza è stata assorbita dalla tradizione cristiana medievale per rappresentare la resurrezione di Gesù, la redenzione dell’uomo e il ritorno alla vita dopo la morte. L’albero addobbato è diventato così l’Albero della Vita o di Pasqua.
BORGO TORRETTA
- La “Tappezzeria Orleanese”
Nell’estate dell’anno 1498 una delegazione di ambasciatori veneziani giunse ad Asti per conferire con Gian Giacomo Trivulzio, il celebre condottiero all’epoca governatore della Città e del suo territorio, nonché luogotenente generale del re di Francia Luigi XII d’Orléans.
La missione aveva lo scopo di stringere una alleanza tra le due potenze, in previsione dell’imminente guerra contro Ludovico il Moro e il ducato di Milano. In segno di benvenuto agli illustri ospiti il Comune organizzò un ricco ricevimento nel palazzo civico e, per decorare degnamente il salone dove si svolse, prese in prestito dalla Collegiata di San Secondo una “tapisseriam rubeam magnam” (tappezzeria rossa grande). Si trattava con ogni probabilità dello splendido manufatto in seguito denominato “tappezzeria orleanese”, che secondo una radicata tradizione fu donata alla chiesa del Santo Patrono dallo stesso monarca francese, duca di Orléans e signore di Asti, in occasione della sua incoronazione.
Tale “tappezzeria”, aveva dimensioni imponenti con uno sviluppo lineare di quarantadue metri; è realizzata in rasatello rosso di seta e decorata con applicazioni di seta color avorio cucite con punto asola raffiguranti mazzi di fiori e cortine disseminate di gigli araldici e corone, sorrette da puttini alati. Fu probabilmente eseguita da manifatture lionesi che già nella seconda metà del XV secolo si erano specializzate in questo tipo di lavorazioni, imitando lo stile e i disegni dei setifici fiorentini e genovesi. Si ritiene che in origine la tappezzeria fosse esposta nell’abside maggiore della chiesa di San Secondo. Rimossa a seguito di lavori di ridefinizione dell’area presbiteriale, pervenne nel XVII secolo alla Confraternita di San Rocco.
BORGO VIATOSTO
- Amori leciti e amori illeciti
Accanto all’amore che si snoda nei percorsi dell’amore domestico e familiare, non è estraneo all’immaginario medievale anche l’amore “fatale”, l’amore-passione, l’amore fisico. Quest’ultimo percorre la società come una trama sotterranea, ma viene sottoposto ai vincoli derivanti dalle convenzioni sociali e, nello specchio della storia, risulta quasi evanescente. Amori non accettati, repressi, destinati ad essere – per usare le parole del trovatore provenzale Guglielmo IX Duca d’Aquitania - fragili “come il ramo del biancospino/che sta sulla pianta tremando/la notte alla pioggia e al gelo/fino a domani, che il sole s’effonde/infra le foglie verdi sulle fronde”.
La società medievale si basava sulla distinzione tra i generi maschile e femminile e sullo schema tipico dei ruoli sociali di marito e moglie; tuttavia, esistevano anche gruppi che si distinguevano dalla famiglia tradizionale: societates di sole donne e di soli uomini in cui non era raro il sorgere di amori tra persone dello stesso sesso, che già in quel tempo lontano erano sottoposti a una feroce persecuzione.
Il Codice Catenato, che conserva gli antichi Statuti di Asti, non reca traccia evidente della irregolarità sociale e religiosa di questo tipo di rapporti; più dettagliata è la repressione dei rapporti carnali con religiosi e religiose, persone sottoposte a pene infamanti quali il lancio di ortaggi, la fustigazione e l’apposizione sul capo di pseudo-corone di papiro, l’esposizione su gogne a forma di ruota in cui venivano dileggiati uomini e donne, colpevoli soltanto di essersi amati fuori dagli schemi tradizionalmente accettati.
RIONE SAN SILVESTRO
- Il trionfo del Biscione visconteo nelle insegne del Rione San Silvestro
“D’argento al Biscione visconteo d’oro, ingollante un fanciullo di carnagione, coronato il tutto con corona gigliata dei Principi di Casa Reale di Francia, in oro. Capo dello Scudo in oro, ondato. Bordura bronzea dello Scudo bisantata di cinquantuno pezzi a guisa di chiodatura.”
Nel cinquantunesimo corteo del Palio di Asti, il Rione San Silvestro celebra il suo emblema araldico.
Lo scudo gotico antico viene portato in trionfo dai Nobili del Rione che, con eleganza e rigore, rappresentano i significati dei colori, degli smalti e degli animali “parlanti” dello stemma. Forza, Fede, Ricchezza, Comando, sono i significati simbolici del colore ORO. Amicizia, Equità, Giustizia, Purezza quelli dell’ARGENTO.
Il BISCIONE VISCONTEO simboleggia Prudenza, Riflessione, Perspicacia. La Vipera, sempre presente in ogni vessillo del rione, è un animale associato a significati magici, esoterici e propiziatori, come la figura nascente dal serpente che richiama riti antichi di fertilità terrestre.
Per alcuni deriva dal Drago, dal Basilisco; ma potrebbe anche fare riferimento alla Signoria di Angera, l’antica Anguaria (in latino anguis - serpente), possedimento visconteo, o alla leggenda eroica di Bianca, figlia del duca di Milano, cui un enorme serpente rapì il figlio, poi miracolosamente salvato. Per altri deriva dal capostipite della casata, che durante le Crociate strappò ad un infedele vinto un’insegna con il Biscione.
L'iconografia che appare più comunemente, ovvero quella con un uomo fra le fauci, si ritrova come stemma dei Visconti a partire dall'XI secolo e viene citata persino da Dante Alighieri nella Divina Commedia come “la vipera che il milanese accampa”.
Il Biscione appartiene per diritto dinastico alla principessa Valentina Visconti, personaggio guida del Rione Oro Argento che soggiornò ad Asti tra il 25 e 28 giugno del 1389: è spesso accompagnato da un cartiglio istoriato col motto “Cominus et Eminus” (da vicino e da lontano), da lambrecchini neri, da gemmature rubino. Vi compaiono anche i gigli di Francia in oro, in omaggio allo sposo di Valentina, Luigi di Valois Orléans, e il Porcospino, in oro collarinato, dell’omonimo Ordine Cavalleresco istituito nel 1394 per la nascita del loro figlio Carlo, futuro Signore di Asti.
Questo animale esprime un forte contenuto simbolico: apparentemente mite, micidiale nell’attacco, forte contro i pericoli e pronto nella lotta per la difesa dei propri valori.
COMUNE DI CASTELL’ALFERO
- L’arte del fustagno ad Asti
Risale al XV secolo la decisione di Luigi d’Orléans di stimolare l’attività manifatturiera astigiana sia mediante lo scavo di un canale che derivasse l’acqua del Borbore e – permettendone l’utilizzo per azionare nuovi mulini, battitoi, seghe – sia mediante l’esonero per tre anni da ogni pedaggio o dazio sull’importazione di lana, cotone, gualdo, robbia e altre materie prime.
Il governatore di Asti Rinaldo di Dresnay confermò norme relative alla produzione del fustagno emanate da una commissione di dodici esperti nominati dal consiglio generale della città.
Si diffuse così ad Asti la produzione di fustagno, un tessuto misto di lana e cotone molto robusto, di aspetto simile al velluto, ma più economico.
Il tessuto veniva filato su dei telai e per coloralo veniva messo a bollire con foglie di erbe tintorie, la robbia (rosso) e il gualdo (blu). Le tele di fustagno venivano poi vendute sulle piazze di Savona e Genova.
Un’attività produttiva che contribuì a valorizzare le competenze tecniche e commerciali di Asti e del territorio, frutto del “buon governo” orleanese del quale trassero beneficio sia la città sia le località dell’esteso contado dipendente.
BORGO SAN
MARZANOTTO - Tra i divertimenti delle famiglie medioevali Astesi: la danza
Tra il 1300 ed il 1400 erano numerose le famiglie aristocratiche – tra queste Asinari, Solari, Guttuari, Isnardi, Roero - che risiedevano nella città di Asti. Gli uomini erano dediti al commercio e soprattutto al prestito su pegno nelle casane d’Oltralpe, cui facevano ricorso nobili, alti prelati, sovrani e addirittura papi. Le donne si dedicavano ad attività dentro le mura domestiche: ricamo, pittura, copiatura di manoscritti ed educazione dei figli.
Il tempo libero era dedicato a vari passatempi, tra i quali la danza godeva di particolare prestigio. Pur mancando documentazione specificamente astigiana, si sono conservati documenti trecenteschi in cui sono descritti i passi e in taluni casi le musiche di danze quali saltarello, trotto, carola, farandola, manfredina ed estampida.
Il Borgo San Marzanotto intende rievocare le due danze più antiche di cui si è giunta notizia ai giorni nostri, la manfredina e la farandola.
La manfredina è un ballo di coppia contraddistinta dalle figure della riverenza, della ripresa, del dondolio, del passo semplice e del passo doppio.
E’ una danza dall’incedere lento e solenne, che nasce nel 1300 come una passeggiata e si evolverà nella pavana delle corti rinascimentali italiane.
La farandola invece è una danza più vivace, di gruppo, nella quale i partecipanti si tengono tutti per mano e danzando compongono varie figure legate ai riti agrari quali la chiocciola ed il serpente.
A questo ballo è riconosciuto anche un significato rituale: è detta anche “danza del labirinto”, perché il labirinto ha sempre un’uscita, e “danza della morte e della rinascita”, perché tutti i partecipanti devono percorrere lo stesso cammino abbandonandosi alla volontà di chi conduce la danza.
La danza vuole simboleggiare un viaggio collettivo attraverso l’esistenza della vita verso la sua misteriosa conclusione.
RIONE SANTA CATERINA
- Il privilegio di battere moneta nell’Asti medievale
Nel 1141 alla ricca città di Asti, punto di snodo di importanti rotte commerciali dell’Italia occidentale, venne concesso per la prima volta da Corrado III il Salico, lo ius faciendi monetam, cioè il privilegio di battere moneta.
Da quella data iniziò così l’attività della “ Casa della Moneta “, la zecca astigiana.
Dal 1141, il denaro e il soldo prima, il grosso (o terzarolo) e l’obolo in seguito e, infine, il grosso tornese, furono le monete coniate da esperti zecchieri che accumularono nelle mani delle famiglie aristocratiche astigiane ingenti ricchezze.
A partire dal XIV secolo il diritto di conio di monete d’oro e d’argento venne concesso anche a famiglie nobili residenti nelle località prossime ad Asti: ai conti Radicati in Passerano, ai conti Montafia in Montafia, ai principi Dal Pozzo in Cisterna, ai marchesi Cacherano Malabayla d’Osasco in Rocca d’Arazzo e ai conti Mazzetti in Frinco.
Il corteo rosso-azzurro offre uno scorcio dell’attività degli zecchieri astigiani impegnati nei lavori di conio e presenta le ricche famiglie della provincia che contrassegnarono le monete con i loro prestigiosi nomi e i loro stemmi araldici.
RIONE SAN
MARTINO SAN ROCCO - Il nobile Giovanni Roero accoglie Carlo VIII nella sua venuta ad Asti
Verso la fine del XV secolo, Carlo VIII, re di Francia, tentò di espandere i propri domini rivolgendo le proprie mire verso l'Italia. Egli vantava, infatti, un lontano diritto ereditario alla corona del Regno di Napoli in quanto discendente di Maria d'Angiò, sua nonna paterna.
Nella sua discesa l’esercito francese si accampò ad Asti, dove il re venne accolto nel settembre del 1494.
Nell'aprile di quell'anno era giunta, infatti, la notizia del suo prossimo arrivo, anticipato da quello del duca Luigi d'Orléans, signore di Asti il quale, tramite una lettera, invitò gli Astigiani ad organizzare l'accoglienza ed in particolare a predisporre un alloggio consono per i soldati.
Iniziarono così i preparativi: si allestì un nuovo baldacchino, si stabilirono festeggiamenti adeguati e doni cospicui per sostenere finanziariamente l'impresa. Inoltre, per far fronte a tali ingenti e straordinarie spese, furono eletti dei Savi incaricati di raccogliere i denari derivanti dall'introduzione di una nuova imposta.
Poco dopo l’arrivo del duca d'Orléans, il 9 settembre (l'11 secondo alcuni storici) giunse ad Asti il re Carlo VIII, proveniente da Torino e accompagnato nel suo viaggio dal cardinale Giuliano della Rovere, futuro Papa con il nome di Giulio II.
Il sovrano venne ospitato dal nobile Giovanni Roero di Revigliasco, la cui dimora, secondo le testimonianze pervenuteci, era situata al fondo dell'attuale via Roero e aveva una torre, tre piani con grandi saloni, un giardino interno con un portico colonnato e al primo piano una "galleria di cinque archi verso la strada con quattro colonnette di pietra".
Durante il soggiorno astigiano, il re di Francia ricevette la visita di Lodovico il Moro, accompagnato dalla moglie Beatrice d'Este e dal suocero Ercole I di Ferrara, giunto in città per rendergli onore con un brillante seguito di gentildonne milanesi al fine di entrare maggiormente nelle grazie del re.
Purtroppo, a pochi giorni dal suo arrivo, Carlo VIII contrasse una forma benigna di vaiolo e per questo motivo venne trasferito nel convento dei Domenicani, situato allora nella zona nord della città, in prossimità delle mura. Al termine della convalescenza, il 6 ottobre, il re poté riprendere il proprio viaggio alla volta di Casale Monferrato.
BORGO DON BOSCO - Il re d’Inghilterra, i banchieri astigiani e i gioielli della corona
Nel 1337 l’esercito del re Edoardo III d’Inghilterra attraversò la Manica e sbarcò in Francia, dando il via a quella che sarebbe passata alla storia come “guerra dei cent’anni”.
Le costosissime operazioni militari costrinsero fin da subito il sovrano inglese a mutuare somme sempre più ingenti: tra i suoi finanziatori, accanto alle note banche fiorentine dei Bardi e dei Peruzzi, era ben presente la “Società dei Leopardi”, interamente costituita da banchieri astigiani. I suoi ventiquattro soci appartenevano alle casate Roero, Turco, Garetti, Bertaldi, Catena, Ponte, Cavazzoni, Deati, Della Rocca, Di Calosso, Di Montemagno e Di Casasco: ognuno di loro gestiva autonomamente banchi di prestito sparsi nelle città delle Fiandre e del Brabante, e la società aveva come scopo esclusivo la gestione dei finanziamenti alla corona inglese.
Molto discreta e riservata, la lega dei finanziatori reali di origine astigiana, - che non a caso aveva assunto come simbolo e come denominazione i leopardi della bandiera inglese - si muoveva soprattutto tramite alcuni rappresentanti, primi fra tutti Matteo Cavazzoni e Giacomo Di Montemagno.
Costoro godettero della stima e della fiducia personale del re, comparendo spesso a corte in qualità di consiglieri e consulenti per le questioni finanziarie e mercantili. Si stima che il volume del credito erogato a Edoardo III arrivasse a quattrocentomila fiorini, un importo che pone la Società dei Leopardi in prima fila tra i finanziatori della corona e dell’economia inglese dell’epoca. Società che seppe gestire tale credito con oculatezza, agendo come una moderna “merchant bank” e utilizzandolo come base di partenza per lucrose operazioni mercantili. Ad esempio la riscossione degli interessi, anziché in denaro, avvenne spesso mediante smisurati quantitativi delle pregiate lane grezze inglesi, che i “Leopardi” immettevano poi sul mercato fiammingo perennemente alla ricerca di materia prima per alimentare la locale industria tessile.
Nel 1338 l’attività della lega finanziaria astigiana conobbe il momento di maggior prestigio anche sotto il profilo simbolico: a garanzia di un ennesimo prestito, il re Edoardo e la regina Filippa d’Hainault impegnarono i gioielli della corona, che furono presi in custodia da Gabriele di Montemagno, in qualità di rappresentante della Società dei Leopardi.
BORGO SAN PIETRO
- IN GEOMETRIAM - il linguaggio universale attraverso i simboli
Al di la delle lingue, delle etnie, delle culture, esiste un linguaggio trasversale le cui tracce si ritrovano in luoghi e periodi storici diversi e lontani tra loro: il linguaggio dei simboli. Il Medioevo è l’epoca dei simboli per eccellenza.
La cultura medievale è senza dubbio quella che maggiormente ha reso visibile nelle sue manifestazioni la dimensione simbolica che la permeava. In geometria il cerchio si identifica in tutto ciò che è celeste: il cielo, l'anima, l'illimitato; ma anche il punto è uno dei simboli fondamentali, poiché indica il principio.
Il punto ed il cerchio hanno, quindi, delle proprietà simboliche comuni: perfezione, omogeneità, assenza di distinzione o di divisione. Anche il triangolo, il quadrato e la croce sono tra le figure più frequenti ed universalmente usate nel linguaggio dei simboli. L’associazione del cerchio con il quadrato, che simbolicamente si riferisce alla coppia cielo-terra, corrisponde alla pienezza; il quadrato inscritto nel cerchio può anche rappresentare la natura umana posta in seno alla natura divina, ovvero l’incarnazione.
Triangolo, quadrato e cerchio sovrapposti possono diventare moduli costruttivi da cui ricavare tutte le forme animate e inanimate come la Vesica Piscis o Mandorla, i Fiori della Vita e le Triplici Cinte che ancora oggi sono visibili presso il complesso del Battistero di San Pietro in Consavia.
Tra i solidi il tetraedro è simbolo dell’immortalità mentre la forma cubica rappresenta la terra o il corpo con i suoi quattro elementi. Tra le forme architettoniche segnate da un forte simbolismo va ricordata la pianta ottagonale che ritroviamo nel Battistero di San Pietro in Consavia, la cui forma richiama il significato cristiano dell’ottavo giorno, il giorno della Resurrezione.
Il Borgo San Pietro intende rappresentare il linguaggio simbolico della geometria come via di comunicazione tra l’uomo e l’essenza divina.
RIONE SAN
SECONDO - Giostre e giochi equestri in Asti medievale
Nel corso del XIII secolo le famiglie astigiane arricchitesi con l’esercizio della mercatura e del prestito adottano con entusiasmo uno stile di vita nobiliare e lussuoso, che ha il suo culmine nella celebrazione degli ideali e dell’epica cavalleresca mediante la disputa di torneamenti, giostre e giochi equestri.
La diffusione di queste competizioni anche ad Asti è dimostrata dall’elenco dei dazi del 1377, nel quale compaiono “Lancie ad giostrandum et armezandum” (lance per giostrare ed armeggiare) vendute a fasci da una dozzina ciascuno. Numerose e preziose le testimonianze iconografiche rimaste: dipinti nel soffitto di un palazzo della famiglia Roero, sito nella contrada omonima, si ammirano ancora oggi cavalieri giostranti di primo Trecento, chiusi nelle loro armature e lanciati al galoppo uno contro l’altro su un prato riccamente fiorito, la lancia in resta e lo scudo stemmato ben saldo a sostenere il colpo dell’avversario.
I cavalli sono privi di gualdrappa, muniti solo del complesso sistema di finimenti atti a fermare l’alta sella da combattimento. In un altro palazzo già appartenuto ai Roero, situato però nella contrada di Riva Carrera (attuale via XX Settembre), sono dipinti altri cavalieri che si sfidano a due a due, caracollando su cavalli sontuosamente bardati di gualdrappe araldiche; con il braccio sinistro reggono lo scudo stemmato, protendendo il destro verso una dama che regge due pennoncelli.
Lo scopo del gioco è evidente: il concorrente deve cercare di afferrare o toccare per primo il pennone e durante la corsa e deve difendersi dagli attacchi del rivale che cerca di disarcionarlo spingendolo con lo scudo. Lo stesso tema è replicato più volte nei cantonali in pietra dei palazzi magnatizi: oggi ne restano due, uno ancora “in situ” nel palazzo detto degli Spagnoli, un altro presso il Museo lapidario; di altri ancora, spariti nel tempo, rimangono disegni e citazioni. Doveva trattarsi di un gioco tipicamente astigiano, perché non se ne conoscono attestazioni in altre città; gioco che probabilmente influenzò la definizione delle regole del Palio antico, secondo le quali, fino al tardo XVII secolo i concorrenti giunti primi al traguardo dovevano toccare con la mano il drappo per poterselo aggiudicare in premio.
BORGO TANARO
TRINCERE TORRAZZO - San Bernardino da Siena ed il suo “trigramma” ad Asti
San Bernardino da Siena fu certamente il religioso più amato e venerato nel corso del XV secolo. La sua instancabile attività di predicatore itinerante si svolse in tutte le città italiane, attirando grandi moltitudini di devoti grazie alle sue straordinarie doti oratorie e al suo linguaggio semplice, popolare ed immediato.
Per esemplificare e rafforzare visivamente i concetti espressi nei suoi sermoni, Bernardino inventò un simbolo con cui rappresentare il Santissimo Nome di Gesù. Esso era costituito dal trigramma IHS, inscritto in un sole dorato con dodici raggi serpeggianti sopra uno sfondo azzurro, e circondato da una frase dedicatoria. Riprodotto su tavolette di legno, il simbolo era mostrato dal santo durante la predica, e poi offerto al bacio dei fedeli.
Nel corso delle sue missioni Bernardino giunse ad Asti, presumibilmente nel 1440, e affacciandosi ad una finestra del palazzo Comunale predicò ad una folla strabocchevole ed entusiasta assiepata in piazza del Santo.
A ricordo perpetuo dello straordinario evento, il Comune di Asti fece realizzare un grande simulacro del Santissimo Nome di Gesù in ottone dorato, posto sulla torre comunale all’epoca esistente accanto al palazzo civico, in modo da poter essere visto da tutta la città.
Cronache più tarde lo descrivono come “un gran quadro che rappresenta e significa il Santissimo di Gesù, con gran caratteri gotici a torno con le parole IN NOMINE JESU OMNE GENUFLECTATUR CELESTIUM TERRESTRIUM ET INFERNORUM, il tutto di ottone dorato, cui è ancora una memoria di San Bernardino da Siena che fece fare la Città ad istanza di detto santo quando si fermò quivi a predicare”.
La torre crollò nel 1690, provocando vittime e danni, ma il grande trigramma si salvò: fu recuperato, restaurato e ricollocato sulla facciata del palazzo detto “del Corpo di Guardia”, all’epoca di proprietà demaniale. Quando fu venduto nel 1781, la nuova proprietaria,, madama Bottacco, facendone rimodernare la facciata, ordinò la rimozione dell’antico radiante di San Bernardino, cancellando per sempre una preziosa testimonianza d’arte, di fede e di cultura.
COMUNE DI CANELLI
- I campari, guardie armate del territorio canellese.
Le campagne medievali erano costantemente soggette a furti, spogliazioni, saccheggi e danneggiamenti di varia natura, che la sola minaccia di pur durissime pene pecuniarie e corporali non riuscivano a contrastare. I comuni cercavano di arginare il fenomeno mediante la vigilanza attiva, affidata a pubblici sorveglianti campestri chiamati “campari”. Canelli, centro importante che già all’epoca basava gran parte della propria economia sulla produzione vitivinicola specializzata, dedicava una grandissima attenzione all’organizzazione e all’efficienza delle guardie rurali.
I campari erano scelti ogni anno dal Consiglio comunale: ad ognuno di essi veniva affidata una sezione del territorio definita “camparìa”, che doveva essere presidiata costantemente e quotidianamente dall’alba al tramonto, senza alcuna eccezione per i giorni festivi. Dall’inizio di Luglio alla fine della vendemmia il podestà raddoppiava il numero dei campari, per vigilare le vigne anche durante le ore notturne e prevenire i furti, soprattutto quelli delle preziose uve Moscato.
I campari ordinari erano stipendiati dal Comune con il ricavato di una tassa specifica che gravava indistintamente su tutti i proprietari terrieri e che tre collettori eletti erano incaricati di riscuotere a Giugno e a Dicembre.
Trattandosi di un’imposta non progressiva e piuttosto onerosa, i proprietari meno abbienti potevano pagarla in natura conferendo per pari valore grano, vino, legumi o altri prodotti agricoli.
I campari della vendemmia, per contro, erano retribuiti con un denario astese per ogni “carrata” di uva prodotta nella loro camparìa, versato loro direttamente dal produttore. I campari svolgevano il loro compito perennemente armati di lancia o di alabarda, e di pugnale; per essere riconosciuti da tutti dovevano indossare un copricapo rosso.
Erano poi soliti rendere più temibile il proprio aspetto sfoggiando grossi cinturoni di cuoio, pelli o code di animali. Per garantire l’assoluta imparzialità del loro operato, avevano l’obbligo di non accettare alcuna offerta di cibo o bevande da parte delle famiglie della propria camparìa. Per questo motivo portavano a tracolla il necessario al proprio sostentamento in capienti bisacce e in fiasche che rendevano ulteriormente inconfondibile la loro figura.
COMUNE DI SAN DAMIANO
- La vita di Margherita di Savoia-Acaia, Marchesa del Monferrato
Margherita di Savoia Acaia nacque a Pinerolo verso il 1382 dal matrimonio che Amedeo, Principe d'Acaia, aveva contratto nel 1380 con Caterina di Ginevra. Alla morte del padre, avvenuta il 7 maggio 1402 in Pinerolo, il Principato passò a Ludovico, fratello di Amedeo, escludendo dalla discendenza Margherita e la sorella Matilde.
Fin dall'infanzia Margherita aveva assistito alle lotte incessanti tra Savoia, Monferrato, Saluzzo ed Acaia per il controllo del Piemonte meridionale. Nel 1403 si era giunti ad una tregua fra i belligeranti, i Savoia e gli Acaia da una parte ed i Marchesi di Monferrato dall'altra; venne così concordato il matrimonio tra il marchese di Monferrato Teodoro II e Margherita figlia di Amedeo di Acaia, che portava in dote tremila genovini d’oro.
Il matrimonio fu celebrato il 17 gennaio del 1403 dal vescovo di Acqui Enrico Scarampi.
Il marchese controllava molti territori in area astigiana e monferrina, tra cui i possedimenti e i castelli presenti nel contado del comune di San Damiano.
La principessa Margherita non ebbe figli; rimasta vedova, nel 1418 si ritirò con le dame della sua corte per condurre una vita ritirata dedicandosi alla preghiera, su ispirazione delle ardenti prediche del santo domenicano Vincenzo Ferreri.
In seguito ricusò la proposta di matrimonio di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, quantunque il sommo pontefice Martino V le avesse concesso dispensa dal voto di castità che essa aveva emesso.
Diventata terziaria domenicana fondò, nella città di Alba, un monastero sotto l'osservanza di San Domenico del terzo ordine; desiderando abbracciare completamente la vita religiosa, Margherita e le sue consorelle passarono al secondo ordine, divenendo suore di clausura, consacrate alla vita monacale.
Margherita fu un modello di pietà: morì santamente nel novembre 1464 e venne sepolta nella tomba comune del chiostro del monastero da lei fondato, dove ancora oggi sono conservate le tombe di molte altre consorelle.
Margherita è raffigurata tradizionalmente in abito monacale mentre tiene in mano tre frecce.
Il corteo rosso blu rappresenta la storia della nobildonna attraverso quadri viventi che rievocano la sua vita consacrata alla devozione.
BORGO SAN LAZZARO
- La Festa Titolare di San Lazzaro dei lebbrosi ad Asti nel Medioevo
Dopo la prima crociata in Terrasanta ogni città si dotò di un'area esterna alle mura in cui ospitare coloro che erano colpiti dal "morbo di Lazzaro", costruendo i primi centri di isolamento, che in seguito presero il nome di lazzaretti. In altri casi, però, i malati erano ospitati nell'atrio (nartece) di chiese che venivano dedicate a San Lazzaro “dei lebbrosi”.
Questi edifici spesso erano fondazioni comunali, opere pubbliche mirate a evitare un possibile contagio all’interno delle mura della città; talvolta invece erano istituite e rette dall’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme.
Per i malati di lebbra, poter pregare in chiesa era importantissimo, poiché erano emarginati dalla civiltà e la Chiesa li considerava peccatori, marchiati nel fisico da Dio stesso. A qualunque rango sociale appartenessero, dovevano lasciare le famiglie e trasferirsi all’interno dei lazzaretti. Le mogli erano considerate vedove ancora prima che la malattia le privasse effettivamente del marito.
Anche Asti ebbe il suo lazzaretto nella chiesa di San Lazzaro "sive hospitale", menzionata per la prima volta nel testamento con cui Guglielmo di Piazzo del 1206 le destinava una somma di denaro come espiazione forse per l'anima di un parente morto di lebbra La zona dove sorgeva la chiesa di S. Lazzaro, tra il Rio di Valmanera e il torrente Versa, ancora oggi porta il nome di Borgo San Lazzaro.
La devozione al Santo era particolarmente celebrata il venerdì prima della V di quaresima, data sancita dagli Statuti della Città di Asti del 1387 La solennità era accompagnata da riti devozionali per ricordare tutti gli infermi, estendendo la protezione del santo non solo ai malati di lebbra.
Ed è proprio la Festa devozionale di San Lazzaro a essere rievocata: in quell’occasione si offrivano fiori e infiorate all’immagine del Santo, si invocava Lazzaro con ceri benedetti e preziosi oggetti religiosi, gli si rivolgevano richieste di salvezza o di sollievo definitivo dalla sofferenza .
RIONE
CATTEDRALE -
L’Hospitium de Dom, dal credito alla carità.
Il complesso della Cattedrale di Santa Maria Assunta ha sempre costituito un punto di riferimento per l’intera città di Asti: luogo di preghiera, di incontri quotidiani o di eventi politici, le sue sale hanno visto passare papi, santi, re, nobili ma anche persone umili, pellegrini e ammalati.
In alcuni dei suoi ambienti, riconducibili agli spazi spettanti al Capitolo della Cattedrale, si venne a costituire già dal XIII secolo l’Hospitium de Domate Ecclesiae astensis, luogo di assistenza medica e caritativa per pellegrini, malati e indigenti che cercavano un pasto o un po’ di sollievo dalle fatiche del viaggio o dalla malattia.
Questa istituzione funzionava soprattutto mediante l’apporto economico delle importanti famiglie di banchieri e mercanti presenti nel cosiddetto Recinto dei Nobili che donavano, sia per rimarcare il proprio prestigio sia per motivi religiosi, una parte di quegli immensi guadagni ottenuti in Italia e in Europa grazie al commercio, specie di panni e filati, e all’attività creditizia cui facevano riferimento anche sovrani e pontefici. Intorno all’Hospitium ruotava quindi svariate figure: donatori sia laici che religiosi, addetti all’assistenza diretta ai bisognosi, pellegrini, poveri e malati.
Tenendo presenti alcune testimomnaizne offerte dalla novellistica medievale possiamo supporre che non mancassero casi di “abuso” della carità e forse proprio a situazioni di questa natura sono da ricollegare i due sportelli lignei, destinati a una porta o a un armadio dell’Hospitium, che raffigurano rispettivamente un villano e una scimmia sormontati da un cartiglio a spirale nei quali sono intagliate due frasi che dovevano suonare come un monito per gli eventuali accattoni: «Chi a pocho da spendere è molto male veduto. Chi no a da rendere chambio non trova aiuto» e «I sono una sumia che sono vegnuta in povertade. Si debio mangiare, el me bisogna filare. Ime sono retornato da miei parenti. De lo suo no m’anno voludo dare niente».
Il rione Cattedrale, prendendo ispirazione da questi due sportelli - esposti oggi nel museo Diocesano di San Giovanni e attribuiti a Baldino da Surso -, intende raccontare in una serie di quadri l’attività quotidiana dell’Hospitium, evidenziando il forte legame economico con le nobili famiglie del rione che lo finanziarono.
COMUNE DI NIZZA MONFERRATO
- IN VINO SALUS ET LAETITIA: le nostre origini
Dei tevernieri e dei venditori di vino, che giurino come sotto previsto
Il capitolo 171 del Liber Catenae, che conserva gli Statuti di Nizza redatti nel 1324, riporta la normativa che disciplina il mestiere “del taverniere e di qualunque venditore di vino al minuto nel comune di Nizza” fornendo indicazioni su “come si debba dare misura piena di quella misura con la quale avrà voluto vendere il vino” e “il podestà sia tenuto a far giurare tutti coloro che vogliono vendere vino”: ciò dimostra quale fosse fin dalle origini l’interesse per tutte le attività collegate alla produzione e alla vendita del vino.
Nei secoli centrali del Medioevo, nel territorio di Nizza la viticoltura conobbe una vigorosa ripresa cui contribuirono sia i grandi proprietari ecclesiastici, vescovi e monaci, sia i laici che si fecero promotori dell’estensione della coltura viticola, individuando in essa una sicura fonte di reddito.
La Chiesa favorì la viticoltura, sia sotto il profilo pratico, conservando e trasmettendo i metodi di coltivazione ereditati dall’antichità romana, sia a livello allegorico facendo della vite uno dei principali simboli liturgici e utilizzando il vino nel rito della messa e nel sacramento dell’Eucarestia.
Le attività agricole legate alla produzione vinicola coinvolgevano gran parte della popolazione in ogni stagione, secondo una precisa scansione temporale che raggiungeva il suo apice nel mese di settembre, con la raccolta dell’uva. La vendemmia era effettuata a mano: il raccolto era depositato in ceste di vimini e successivamente riversato nei tini, pronto per essere pigiato.
Il vino era utilizzato anche in medicina: l'enolito, detto anche vino medicinale si otteneva dalla macerazione nel vino di parti essiccate delle erbe officinali e ne migliorava il sapore.
Tutti, senza distinzioni di rango, assaporavano il vino che divenne ben presto bevanda comune e diffusa: simbolo di status sociale fra la borghesia della città, immancabile presenza nei banchetti conviviali dei nobili, dava origine a sfrenate allegrie e a qualche trambusto ed era negato per legge ad “alcuna meretrice pubblica in qualsiasi taverna della città di Nizza”.
BORGO SANTA MARIA
NUOVA - La barriera un rito matrimoniale medievale
Nel medioevo un matrimonio poteva essere contrastato da una comunità intera, specialmente se questa era piccola, o apparteneva a borghi periferici cittadini, come il borgo di Santa Maria Nuova, che già nei cartari medievali era denominato semplicemente “il Borgo” per indicare una sua forte e coesa identità territoriale.
Si attivavano ostacoli principalmente quando l’unione matrimoniale avveniva con persone provenienti da città o quartieri rivali, oppure nel caso in cui la differenza di età era tale da non assicurare la capacità riproduttiva del marito (“quando il vecchio piglia moglie, la campana suona a morto”).
La forma di contrasto e di dileggio rituale più diffusa era la “barriera o barricata”: il gruppo dei giovani del quartiere o della comunità, comandati da un “abate dei folli o degli stolti” aspettava il corteo nuziale della sposa e sbarrava il passo con corde, fazzoletti colorati, festoni o nastri. Per superare questo ostacolo, lo sposo – o il padre della sposa – doveva corrispondere una somma direttamente proporzionale alla dote della fanciulla. Spesso erano presenti altri rituali quali “l’impagliata”, mediante la quale si segnava il tragitto con paglia, calce e olio o la “scampanata”, che consisteva nel fare chiasso con campanelli o strumenti musicali durante il tragitto o nei pressi della casa di uno dei futuri sposi.
Questi riti, molti dei quali giunti fino ai giorni nostri, spesso potevano degenerare in scontri violenti e per tale ragione le autorità civili e religiose cercarono di contenerli con norme presenti negli statuti medievali di moltissime città italiane ed europee. Il Borgo di Santa Maria Nuova vuole rappresentare questa consuetudine: sfila la promessa sposa in corteo con damigelle e parenti, ostacolata con nastri e disturbata dalle scampanate della compagnia dei giovani del Borgo capitanata dal re dei folli, il tutto sotto il controllo delle autorità civili pronte a contenere eventuali disordini durante il corteo.
RIONE SAN PAOLO
- E VITTORIA FU! popolo festoso e gaudente in onore della vittoria dell’ambito drappo
Il Rione San Paolo nel corteo storico del 2014 ripropose la Festa del glorioso protomartire San Secondo e le giornate dei festeggiamenti in suo onore, durante le quali si svolgeva la Corsa del Palio.
Seguendo un preciso programma rievocativo da proseguire nel tempo, nel 2015 il rione ha dedicato il corteo ad illustrare i significati e l’interpretazione dei colori dello stemma e le modificazioni che nel tempo sono state apportate al blasone per evidenziare la correttezza della ricerca araldica.
Gli stemmi portati in corteo avevano inoltre l’intento di propiziare la vittoria della corsa del Palio con il nuovo vessillo in cui si erge l’Araba Fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri … E VITTORIA FU!
Il corteo 2016 intende celebrare la grande festa della vittoria: i nobili Solaro che hanno garantito il sostegno economico alla vittoria aprono il corteo a riprova della loro magnanimità, ma soprattutto forti del ruolo eminente riconosciuto loro dai borghigiani Segue il “carro della vittoria”, che rende onore al Vincitore!
Come ringraziamento per la conquista dell’ambito drappo, il Rione San Paolo espone all’ammirazione del popolo tutto i drappi vinti negli anni 1975-1978-1979-1993 e l’ultimo dell’anno 2015. Ed il folto popolo del Rione segue festoso, esulta ancora per un giorno e scherzosamente deride gli avversari declamando il sonetto ...
PALIO DI ASTI 2016
www.vbs50.com
- info@vbs50.com
VBS50
© 1998:
FOTO -
FOTO CITTA' -
FOTO EVENTI
|